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“Avevo 13 anni, ero solo una bambina.”

“Avevo 13 anni, ero solo una bambina.

Giocavo al parco con delle mie amiche quando un ragazzo più grande mi si avvicinò e mi disse: “Lo sai che hai proprio la faccia da putt@n@?”

Avevo 13 anni, ero solo una bambina, fisicamente e mentalmente. Non usavo trucchi, odiavo le gonne e tutto ciò che era femminile, non avevo nulla di provocante.

Ogni giorno tiravo fuori da sotto al letto il mio borsone di Barbie e le pettinavo tutte e 23 con orgoglio. Non avevo alcun interesse per il sesso maschile ancora. Avevo 13 anni. 

Eppure quel ragazzo mi aveva etichettato come una poco di buono, così, senza motivo.

Ci restai male, non capii, non reagii, mi interrogai su cosa avessi detto o fatto per provocarlo, perché la colpa è della donna, dicevano spesso quando succedevano cose simili. Non ho ancora trovato risposta.

Tutti si fecero una grossa risata, finì così: “Non prendertela, scherzo”.

Qualche giorno dopo uno dei suoi amici mi si avvicinò e disse: “Sai che assomigli a mia sorella? Io la odio!”

“Fai finta che sia tua sorella” disse un altro.

“Scappa!” urlò una mia amica.

Io iniziai a correre.

Ero allenata, facevo ginnastica agonistica, lui era un po’ sovrappeso, lo distanziavo sempre più.

Però era estate, faceva tanto caldo ed io indossavo i miei pantaloni preferiti, jeans a zampa di elefante, con la catenella in vita, quanto li avevo desiderati!

Ma ero sempre troppo magra, avevo una 34 e quelli partivano dalla 38. Avevo un fisico ancora da bimba. Mamma alla fine mi aveva accontentata, ma li aveva dovuti stringere in vita di un bel pezzo.

Alla fine inciampai sui miei bei pantaloni troppo grandi. Caddi a terra e i pantaloni si strapparono sul ginocchio, sanguinavo, bruciava, non piansi.

I miei adorati pantaloni… “Cosa dirà mamma?” pensavo solo.

Il ragazzo si avvicinò, non dimenticherò mai lo sguardo d’odio che aveva negli occhi.

Che colpa avevo? Ero una femmina, avevo la faccia da putt@n@ e assomigliavo a sua sorella che odiava? Avevo 13 anni.

Mi sputò addosso, mi insultò, mi lanciò il suo Chupa Chups sbavato tra i capelli, mi sputò ancora, e se ne andò.

Io tornai a casa ammaccata, dissi a mamma che mi ero rotta i pantaloni inciampando da sola, era così in fondo.

Mamma me li taglio sopra il ginocchio e divennero pantaloncini corti, è l’unica cosa visibile che mi è rimasta di quell’esperienza. Pochi anni fa mi sono tornati tra le mani sistemando scatoloni.

Il ginocchio guarì in fretta, ma non andai più in quel parco.

Mi rimase per sempre la consapevolezza di quanto certe parole abbiano un peso, anche se dette per scherzo e con che facilità queste parole possano attecchire negli altri e trasformarsi in qualcosa di più.”

Una storia vera, un racconto che ci è arrivato in posta da una di voi.

Una donna come tante. Una donna che, come tante, forse tutte, almeno una volta nella vita si è sentita dare della “putt@n@”, della “z*cc*l@”, della “tr*i@”.

 

Le parole hanno un peso e no, non possiamo farci una risata.



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