Questa è la triste storia di Gianna.
Era nata in un corpo che non sentiva suo e le avevano dato un altro nome. Lei non era felice e decise di essere ciò che sentiva fosse giusto per lei.
Decise di chiamarsi Gianna e di indossare gli abiti che riteneva essere adatti a lei. Ma la sua felicità non venne accettata, fu derisa, bullizzata ed emarginata.
Durante le elezioni del Comune di Andria, in Puglia, dove viveva, la sua immagine era stata utilizzata come un santino per la lista di una candidata, per schernire sia lei che Gianna, tra l’ilarità generale e i beffeggiamenti.
Abbandonata dalla famiglia, non riusciva a trovare nessuno che le facesse un contratto d’affitto, per i pregiudizi contro di lei. Era costretta a vivere per strada e andare alla caritas, si doveva prostituire o chiedere la carità.
“Noi siamo esseri umani, vogliamo solo essere amati”, diceva.
Muore sola, a 49 anni, dopo una vita di solitudine, derisione ed esclusione.
La famiglia, dopo non averla sostenuta in vita, le fa un ultimo grande sgarro: fa affiggere i manifesti funebri con il nome che lei non sentiva suo. Un’offesa alla sua persona e all’identità che lei aveva scelto.
La nota agenzia di onoranze funebri Taffo riscrive quel manifesto per farle giustizia, almeno una volta, dopo la sua morte, visto che in vita non l’ha mai avuta.
Sarebbe bello vivere in mondo dove ogni persona fosse rispettata, per le proprie scelte e per ciò che è, senza togliere niente a nessuno, ma solo offrendo comprensione e sostegno.
Ihaveavoice si impegna tutti i giorni nella lotta contro le violenze e le disparità di genere, per creare un mondo migliore.
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