Daisy Coleman si toglie la vita 9 anni dopo aver subito uno stupro di gruppo.
Lei è Daisy Coleman.
A 14 anni ha subito uno stupro di gruppo.
L’8 gennaio del 2012 era ad una festa a Maryville, in Missouri.
I capi di imputazione contro Matthew Barnett, il 17enne accusato da lei, sono caduti.
Il fatto era stato ripreso dal telefono di un altro ragazzo, ma Matthew era il nipote di un ex politico repubblicano.
Dopo lo stupro l’ha anche chiusa fuori, a temperature gelide (si arriva fino a -10 gradi).
Per diversi anni, Daisy si era impegnata attivamente nel contrasto ad abusi e violenze, facendo anche un documentario su Netflix, chiamato “Audrie & Daisy”, dove raccontava la violenza subita da lei e un’altra ragazza, Audrie Pott, suicidatasi dopo pochi giorni dallo stupro. Ma questo non fu sufficiente.
I colpevoli restano ad oggi impuniti, mentre Daisy, a causa di quello stupro, ha dovuto sopportare l’inesorabile giudizio dei suoi concittadini, continuando a subire molestie e vessazioni online, l’incendio dell’abitazione e ripercussioni sulle vite della madre e del fratello, cui sono stati stroncati rispettivamente lavoro e carriera sportiva.
Daisy si è suicidata a 23 anni.
Lo stupro non ha nulla a che vedere con l’atto sessuale, ha a che vedere con l’esercizio coatto del potere che porta a prendersi qualcosa per sentirsi appagato, importante. Si ritiene che sia un proprio diritto, in quanto superiori rispetto alla persona stuprata, la quale viene considerata alla stregua di un oggetto.
Le ripercussioni psicologiche per chi subisce uno stupro sono devastanti.
Il tragico suicidio di Daisy dimostra che a vincere siano state due forme di potere: quello di stampo patriarcale, che abusa e violenta, e quello di chi, con ricchezza e posizioni sociali di rilievo, fa pagare lo scotto a chi denuncia ciò che subisce.
Queste dinamiche di potere sono spietate ed estremamente ingiuste.
Daisy sicuramente non è stata l’unica a subirle.
Troppe vittime nemmeno denunciano perché temono queste ripercussioni e diverse che lo fanno, subiscono la stessa sorte di Daisy.
E questo avviene in ogni parte del mondo, tanto nei paesi poveri, quanto in quelli più sviluppati.
È ora di cambiare le cose, ecco perché dobbiamo unirci per far sentire la nostra voce e chiedere giustizia.
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Facciamo sentire la nostra voce.
Unite si può!
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