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Questa non è la mia tomba, ma è quella di mio figlio

giardino degli angeli

Questa non è la mia tomba, ma è quella di mio figlio.

Così, Marta Loi, denuncia in Facebook i cimiteri di feti e prodotti del concepimento senza il consenso delle donne.

 Lo scandalo delle tombe coi feti e il nome delle madri.

Quando firmò tutti i fogli relativi alla sua interruzione terapeutica di gravidanza, le chiesero:

Vuole procedere lei con esequie e sepoltura? Se sì, questi sono i moduli da compilare.

Lei rispose che non voleva procedere, per motivi personali suoi, che non era tenuta a precisare.

In quel momento, non chiese cosa sarebbe successo al feto.

Dopo circa 7 mesi, andò a ritirare il referto istologico e, pensando agli articoli che aveva letto sulle sepolture di prodotti del concepimento, ebbe un dubbio.

Chiamò quindi la struttura dove aveva abortito e, dopo aver ricevuto risposte vaghe, decise di contattare la camera mortuaria.

Signora quale è il suo nome?

Loi Marta

Signora il fetino sta qui da noi.

Ma come da voi?

Signora noi li teniamo perché a volte i genitori ci ripensano. Stia tranquilla, anche se lei non ha firmato per sepoltura, il feto verrà comunque seppellito per beneficenza. Non si preoccupi avrà un suo posto con una sua croce e lo troverà con il suo nome.

Scusi ma quale nome? Non l’ho registrato. È nato morto.

Il suo signora. Stia tranquilla la chiameremo noi quando sarà spostato al cimitero.

Al che scopre che sul sito di Ama cimiteri capitolini, esiste una sezione dedicata al giardino degli angeli, ossia il cimitero dei feti.

In assenza di un Regolamento regionale, questo tipo di sepoltura è disciplinata dai commi 2, 3 e 4 dell’art. 7 del D.P.R. 285/90 (Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria), il quale prevede che:

I prodotti del concepimento dalla 20^ alla 28^ settimana, oppure i feti oltre la 28^ settimana, vengono sepolti su richiesta dei familiari o, comunque, su disposizione della ASL.

Ogni prodotto del concepimento è messo in fosse singole, contraddistinte da una croce in legno volute da AMA-Cimiteri Capitolini, e una targa con il NOME DELLA MADRE.

Questo campo al cimitero Flaminio è pieno di croci con nomi e cognomi di donne. Solo donne.

Potrei dilungarmi sulla rabbia e l’angoscia che mi ha provocato vedere che senza il mio consenso, altri abbiano seppellito mio figlio con una croce, simbolo cristiano, che non mi appartiene e con scritto il mio nome. No. Non lo faccio perché il disagio emotivo che mi ha travolto riguarda me e solo me. Scrive Marta Loi.

Una violenza che va fermata ora.

Questa storia è aberrante sotto tutti i punti di vista.

Oltre la privacy violata, senza il consenso e soprattutto senza avvertire, qui si tratta di un vero e proprio atto di onta pubblica, su una questione assolutamente personale e delicata come l’aborto.

Un atto che ha lo scopo di incolpare le donne delle loro scelte, che punta il dito come se fossero delle assassine, svergognarle mettendo il loro nome e la loro vita alla mercé di tutti.

E solo le donne, ovviamente, come se si fossero auto-fecondate. Dei padri nessun accenno, il figlio è solo della donna, quando si tratta di responsabilità e soprattutto di accuse.

Mi chiedo, mettono anche i nomi di donne stuprate? Di minorenni? Di donne malate?

Ma anche fosse che la donna in questione, per cause non a lei imputabili, avesse perso il feto nonostante volesse portare a termine la gravidanza, ricordarle per sempre di quel feto, ripeto FETO non figlio, è una tortura inutile e indegna.

E l’imposizione religiosa, poi, in un Paese la cui Costituzione sancisce la laicità.

Questa non è beneficenza.

Questo è un abuso sotto ogni punto di vista, una violenza immane a tutte le donne, una violenza che va fermata ora.

Chiediamo con forza la rimozione immediata di tutte le tombe dei feti, non espressamente richieste dalle donne. E sarebbe giusto avere anche un cospicuo risarcimento del danno morale.

Siamo vicine a Marta Loi e a tutte le donne che hanno subito questa vergognosa violenza.
Siamo disposte a lanciare una petizione, a dare consigli per una causa legale e, se serve, a scendere in piazza.

Le donne hanno il diritto di decidere per la loro vita e il loro corpo e le loro decisioni non devono essere giudicate, né tanto meno essere messe in pubblica piazza.

Ihaveavoice si impegna tutti i giorni nella lotta contro le violenze e le disparità di genere, per creare un mondo migliore.

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